Musei e monumenti

Ultima modifica 16 ottobre 2023

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Polo museale Terra di Montenovo

Il Museo civico-parrocchiale di Ostra Vetere ha sede nell’ala principale dell’ex convento di S. Lucia, che ha ospitato l’Ordine delle Clarisse dal tardo Medioevo all’Ottocento. Successivamente all’annessione delle Marche al Regno d’Italia, a cui veniva fatta seguire nel 1810 la soppressione delle corporazioni religiose, il complesso conventuale fu messo all’asta ad eccezione della chiesa limitrofa. Dall’edificio sacro, rimasto aperto al culto, fu tuttavia requisita la pala dell’altare maggiore raffigurante il Martirio di Santa Lucia di Giampietro Zanotti (1674-1765), inviata a Milano con lo scopo di incrementare le collezioni della costituenda Pinacoteca di Brera. Il mancato ingresso del dipinto nel museo milanese ne ha decretato sin dal 1874 il trasferimento nella parrocchiale di Pusiano (CO). L’esecuzione del quadro di Ostra Vetere da parte del noto pittore bolognese nel 1703 si ricollega alla ristrutturazione della chiesa e del monastero che risale agli stessi anni. Alla radicale trasformazione dell’interno della chiesa nelle forme attuali, corrispondono nel convento interventi di ammodernamento significativamente attestati, nell’area interessata dall’allestimento del Museo, dall’elegante scala che conduce al primo piano (fig. 2). Nell’ambiente del piano terreno, di fronte alla scala, la presenza di alcuni manufatti, riconducibili alla lavorazione delle olive e alla produzione del vino, documentano la trasformazione del convento nella sede di un’azienda agricola, a seguito della messa all’incanto dei locali che furono acquistati dalla famiglia Marulli. Nel 2000 il comune di Ostra Vetere ha acquisito la proprietà dell’ex monastero promuovendone il restauro e destinando una parte dell’ampio complesso architettonico a sede del museo, dell’archivio storico comunale e della biblioteca civica. Tali istituzioni sono chiamate ad agevolare, in primo luogo, la comunità locale nel riappropriarsi e nel tutelare il proprio patrimonio culturale. Tenendo presente questa esigenza, si è scelto di riunire opere d’arte di proprietà comunale e parrocchiale, nell’interesse prioritario di un recupero quanto più ampio possibile e della rilettura globale dell’eredità storica. L’importanza della ricomposizione dei contesti originari trova l’espressione più significativa nel riordinamento e nella valorizzazione delle opere d’arte della chiesa conventuale di S. Francesco, abbattuta all’inizio del Novecento, e della biblioteca storica del Frati Minori Riformati, affidata alla cura del comune nel 1869. E’ doveroso rievocare l’incuria e il disinteresse, negli anni successivi all’Unità d’Italia, nei confronti di tali beni dopo la liquidazione dell’asse ecclesiastico e la secolarizzazione dei due conventi. Il varo del nuovo museo risarcisce Ostra Vetere della mancata partecipazione delle autorità locali dell’epoca al rinnovo delle istituzioni culturali di fine Ottocento, quando l’urgenza conservativa del patrimonio secolare uscito dai conventi soppressi, determinò l’apertura e la distribuzione capillare sul territorio nazionale di biblioteche e musei civici. CHIESA E CONVENTO DI S. FRANCESCO Ubicato originariamente nel cuore dell’abitato, nell’antica piazza del Mercatale, oggi piazza della Libertà (fig. 3), il complesso monastico di S. Francesco rappresentò per secoli il principale insediamento religioso di Ostra Vetere. Le opere d’arte scampate alla distruzione e alla dispersione e raccolte in questa sede coprono l’ampio arco cronologico che dal Quattrocento si protrae fino al Settecento. Esse sono sufficienti a documentare il rapporto privilegiato dei fedeli con un luogo che dovette a lungo richiamare, insieme alla memoria delle antiche origini della comunità, esempi di fede, di dedizione, di stabilità sociale e, infine, di aggiornamento culturale. L’insediamento francescano di Ostra Vetere viene ricordato fin dal 1292, quando papa Niccolò IV invia al convento una preziosa reliquia della croce di Cristo, accordandogli il permesso per la concessione di indulgenze. Risalgono al sec. XVII le prime puntuali descrizioni della chiesa. Edificio originariamente a due navate, esso fu interessato nel 1635 da un restauro radicale. «Ai nostri giorni» rammentano le fonti dell’epoca «detta Chiesa fu ridotta a una sola navata […], levandola dall’architettura Gotica, bassa ed oscura, ad architettura un poco più aggiustata e moderna». Il restauro comportò, come attestano i dipinti presenti nel museo, la sostituzione delle antiche immagini sacre con nuove pale d’altare, così da rendere possibile sia l’aggiornamento dell’iconografia sui più illustri modelli della scuole artistiche baroccesca e ridolfiana, sia la promozione e il rinnovo del culto di santi appartenenti all’Ordine francescano. Al mancato ingresso di opere d’arte significative nel Settecento, corrisponde il declino progressivo del monastero, tanto che all’ingiunzione della sua chiusura, nel secolo successivo, avrebbero risposto quattro religiosi, i soli rimasti ad occupare gli ampi spazi del complesso conventuale. Rientrato il monastero nei primi provvedimenti di soppressione delle corporazioni religiose, seguite all’Unità d’Italia, esso venne secolarizzato nel 1861, passando sotto l’amministrazione del comune che a sua volta lo consegnò in uso all’Abate Parroco, al quale fu concesso di mantenere la chiesa aperta al culto. Ciò non fu tuttavia sufficiente a garantirne la custodia; fu anzi nella disputa, facile da ipotizzare, sulle rispettive competenze dell’ente proprietario e del soggetto affidatario, che si assistette a un degrado repentino dell’edificio religioso, fino alla chiusura nel 1909. L’ultimo atto del monumento secolare fu consumato tra il 1914 e il 1915. Preservato il portale marmoreo romanico della facciata (fig. 4) - riutilizzato nella locale chiesa di S. Severo - e rimossi parte degli affreschi del Quattrocento, la chiesa venne rasa al suolo per far posto alla piazza attuale, sulla quale ancora oggi si affacciano, oltre alla torre campanaria e al chiostro, alcuni locali dell’ex monastero. LE TESTIMONIANZE ARTISTICHE PIÙ ANTICHE «L’edificio è cadente e la sua pronta demolizione s’impone oltre che per motivi d’incolumità pubblica, anche per togliere un testimonio triste dell’incuria raccapricciante in cui il manufatto fu lasciato». E’ con questo sorprendente resoconto che la Soprintendenza per la Conservazione dei Monumenti delle Marche accordò nel giugno del 1913 il permesso per la demolizione della chiesa di S. Francesco. Fu nel corso dei lavori per l’atterramento dell’edificio che venne alla luce una serie di dipinti murali documentati, ancora in loco, attraverso una dettagliata relazione e una campagna fotografica approntate con lo scopo di programmare il distacco degli affreschi. Sei profonde e ampie nicchie, ubicate ai lati dell’area presbiteriale e lungo la parete destra della chiesa, ospitavano una galleria di immagini sacre databili negli ultimi decenni del Quattrocento. Nonostante la documentazione d’archivio dell’inizio del Novecento restituisca il proposito di un salvataggio integrale degli affreschi, per la verità notevolmente danneggiati, attualmente rimangono i soli dipinti esposti in questa sede. Le testimonianze più antiche del ciclo pittorico si ricollegano, con ogni probabilità, alla grave pestilenza che attorno al 1470 funestò la Marca. Oltre alla data riportata nella Madonna con Bambino e Santi (fig. 5), potrebbe accreditare tale ipotesi la presenza del San Sebastiano, per secoli invocato contro il morbo insieme a San Rocco. Al pittore Andrea di Bartolo da Jesi, attivo nella stessa epoca nella vicina chiesa di S. Fortunato, nei pressi di Serra de Conti, può essere ricondotto il dipinto con la Vergine e i Santi Giovanni Battista e Antonio Abate. L’ opera fortemente influenzata, nel carattere ieratico e arcaico, dai modi del più noto Giovanni Antonio Bellinzoni da Pesaro, conferma i stretti rapporti tra i due artisti, di recente attestati per via documentaria. A distanza di due decenni il pittore di Sant’Angelo in Vado Dionisio Nardini riprese la decorazione della chiesa con il San Martino e che dona il mantello al mendicante, una serie di Santi, dei quali rimane il Sant’Antonio da Padova (fig. 6) e un San Domenico con il libro della regola, attualmente disperso, ma documentato sia dalla campagna fotografica dell’inizio del Novecento, sia dal soprintendente Luigi Serra che lo registra nel 1925 presso il Municipio. Se sopravvissuto nella sua interezza il ciclo di Ostra Vetere avrebbe costituito una delle tappe più significative del percorso artistico di Nardini, fortemente segnato dalla cultura figurativa urbinate ruotante intorno al pittore Giovanni Santi, padre di Raffaello. IL RESTAURO DELLA CHIESA NEL SEICENTO Prima del restauro del 1635, che trasformò radicalmente la chiesa, si intese risarcirne il decoro con la ricostruzione della cappella dedicata all’Annunciazione. Per l’arredo ci si avvalse della collaborazione della bottega del noto maestro urbinate Federico Barocci, ottenendo la copia dell’Annunciazione (fig. 7), una delle sue più celebri invenzioni pittoriche. Il dipinto originale, attualmente conservato nella Pinacoteca Vaticana, venne eseguito tra il 1582 e il 1584 per la Cappella dei Duchi di Urbino nella basilica di Loreto. Il successo riscontrato dall’opera è documentato da numerosissime copie realizzate dentro e fuori la bottega del maestro. La versione di Ostra Vetere, impaginata con l’aggiunta dell’Eterno Padre mancante nell’originale, rientra nel novero delle opere condotte con l’utilizzo di cartoni e disegni del maestro e può essere riferita a un allievo e collaboratore di Barocci. A conferma del rapporto privilegiato della comunità monastica di Ostra Vetere con la bottega baroccesca - oberata all’inizio del Seicento da numerosissime richieste per il cui vaglio interviene lo stesso duca Francesco Maria II Della Rovere - rimane inoltre il quadro raffigurante le Stimmate di San Francesco, forse collocato in origine nell’altare maggiore. Si tratta della copia del dipinto eseguito da Barocci per la chiesa di S. Francesco in Urbino. Una pala d’altare replicata, come l’Annunciazione, in decine e decine di esemplari, tanto da divenire nel sec. XVII una delle immagini normative dell’ordine francescano. Con il restauro della chiesa, alla bottega di Barocci subentrò quella di Claudio Ridolfi, il pittore veronese - stabilitosi nel secondo decennio del Seicento nella vicina Corinaldo - erede indiscusso delle fortune del grande artista urbinate, scomparso nel 1612. Tutti i dipinti richiesti per la chiesa di San Francesco, dopo i lavori di ristrutturazione, sono debitori delle invenzioni e dei modi di Ridolfi. Un fatto, quest’ultimo, testimone sia del favore accordato dalla committenza al linguaggio devoto e edificante dell’artista, sia dell’influsso da lui esercitato nel contesto artistico locale. TESTIMONIANZE ARTISTICHE DALLE CHIESE DEL SS. CROCIFISSO E DI S. ANTONIO DA PADOVA AL BORGO Ubicata «fuori de muri», a poca distanza dall’abitato, la chiesa del Santissimo Crocifisso venne costruita inglobando un’edicola affrescata nel Quattrocento con la Crocifissione di Cristo, immagine ritenuta miracolosa. Il persistere della venerazione di tale effige, motivò l’ampliamento dell’edificio e la realizzazione di una serie di dipinti murali di carattere votivo, commissionati tra la fine degli anni Sessanta del Cinquecento e l’inizio del decennio successivo. Al ciclo di dipinti della chiesa appartiene la coppia di affreschi esposta nel museo, raffigurante una Gloria di Angeli, frammento superstite della Natività di Cristo, e una Pietà con San Giuseppe d’Arimatea e San Giovanni Evangelista. Lo stato lacunoso dei dipinti da conto del precoce degrado delle opere, già lamentato nel tardo Seicento quando a danno della Pietà, si registrava la «superstiziosa devozione dei fedeli, che si portano [via] il calcinaccio per la febbre». La Natività, insieme ad altri brani affrescati ancora ubicati nella chiesa del SS. Crocifisso, rimane la sola testimonianza dell’attività di Giovan Battista Lombardelli a Ostra Vetere. Qui il pittore era nato intorno al 1537 e le opere in questione documentano l’avvio della sua fortunata carriera professionale, prima del prolungato soggiorno romano che lo vide partecipe di alcuni dei più importanti cantieri artistici dell’epoca. Dalla chiesa provengono inoltre la coppia di formelle in terracotta policroma (fig. 8), rari esemplari di una tipologia di maioliche, di carattere devozionale, ma al di fuori della produzione seriale, attestatasi tra Marche e Romagna intorno all’ultimo quarto del Quattrocento. A Giovan Battista Peruzzi, abate di S. Maria di Piazza a Ostra Vetere dal 1656 al 1662, si deve la costruzione della chiesa-oratorio di S. Antonio da Padova dalla quale provengono il gruppo di dipinti conservatosi fortunosamente nella sua integrità e qui riallestito. Documentato dalle fonti a Roma, in «servitù stretta con i nipoti di Urbano Ottavo da quali fu molto accarezzato», Peruzzi fece ritorno, in età avanzata, nel paese natale marchigiano. Qui affidò a una serie di copie di celebri dipinti romani, raccolte nella piccola chiesa annessa al suo palazzo gentilizio, il ricordo del periodo romano. Le repliche di opere di Annibale e Ludovico Carracci, dell’allievo di Domenichino Andrea Camassei, costituiscono un attestato significativo delle preferenze accordate da Peruzzi al moderato naturalismo e alla semplicità pacata promossi dalla pittura bolognese e diffusi a Roma nei primi decenni del Seicento. Alle scelte artistiche del prelato, improntate a una sobrietà esemplare, si aggiunge inoltre l’orgoglio della rivendicazione delle frequentazioni illustri di Peruzzi a Roma. Gli originali selezionati per le repliche rinviano infatti a alcune delle più potenti famiglie della Capitale pontificia. Ai Barberini si deve la committenza degli originali di Ludovico Carracci e di Camassei, ai Borghese l’Ecce Homo di Agostino Ciampelli, ai Mattei la nota Pietà di Annibale Carracci, originariamente ubicata presso la chiesa romana di S. Francesco a Ripa. Unica tela di provenienza marchigiana, nella raccolta dell’abate, il Cristo coronato di spine (fig. 9), felicissima composizione della tarda maturità di Claudio Ridolfi. Dello stesso artista a Ostra Vetere, nell’altare maggiore della chiesa di Santa Croce, si conserva una Crocifissione e Santi. IL FONDO ANTICO DELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI OSTRA VETERE di Giovanna Flamma La storia del fondo antico della biblioteca comunale di Ostra Vetere, antica Montenovo, è da ricollegare, in particolare, alle vicende della locale biblioteca dei Frati Minori Riformati, la cui fondazione si fa risalire al 1645 e si deve alla tenace volontà dei due fratelli religiosi della famiglia Conti: i padri Stefano e Angelo. L’incremento dei volumi, nella sede conventuale di S. Croce, fu così rapido che padre Giacomo, già nel 1674, inoltrò la richiesta al Definitorio della Provincia, di poter ampliare la libreria, dal momento che lo spazio risultava insufficiente ad accogliere la gran quantità di libri raccolti. Il 23 ottobre 1674 venne concessa la facoltà di procedere con i lavori di ampliamento dei locali. Un ruolo importante nell’arricchimento del patrimonio librario fu svolto nel Seicento da padre Giacinto e da alcune famiglie nobili del luogo: i Cesarei (il medico Cosmo di Montenovo, figlio di Cinzio), i Brunacci (Gaudenzio e Pietropaolo) e i Conti, com’è attestato dalle note di possesso manoscritte sui frontespizi o nelle pagine preliminari. Può essere definita, quella di S. Croce, una biblioteca pubblica in senso moderno, dal momento che, fin dalla sua fondazione, oltre ai religiosi si permetteva il libero accesso agli studiosi. In seguito alla soppressione napoleonica del 1810, il catalogo della biblioteca andò perduto, così che rimane il solo elenco delle materie alle quali i libri della raccolta afferiscono, stilato a seguito della soppressione post-unitaria. Tale inventario introduce all’importanza del patrimonio librario raccolto, costituito da discipline che abbracciano l’intero arco del sapere: Filosofia, Matematica, Medicina, Chirurgia, Teologia, Grammatica, Retorica, Poesia, Diritto Canonico, Diritto Civile, Storia Sacra, Libri proibiti. E’ del maggio del 1869 la devoluzione della biblioteca al Comune di Ostra Vetere; dal catalogo compilato nell’anno successivo, il numero complessivo delle pubblicazioni acquisite ammonta a circa 4000. Ai libri appartenuti all’antica Libreria dei Frati Minori Riformati, si aggiunsero in quell’occasione quelli facenti parte del fondo librario dei Padri Conventuali, anch’essi ricaduti sotto la soppressione del Decreto Valerio del 1861. I pochi volumi che possono essere ricondotti alla Biblioteca dei frati Conventuali recano sul frontespizio, o nelle pagine preliminari, la nota di possesso “Loci Sancti Francisci”, riferita al locale convento di San Francesco, sede originaria della biblioteca. Non si deve nascondere come le due soppressioni abbiano arrecato gravi danni sia alla consistenza numerica, sia alla conservazione delle due biblioteche. La catalogazione informatizzata attualmente in corso potrà restituire, una volta ultimata, il quadro complessivo di un fondo librario che, allo stato attuale dei lavori, può essere già annoverato tra le biblioteche storiche di maggiore interesse della regione. 

Monumenti

1. Chiesa di S. Lucia - sec. XVIII Ricca di pregevoli decorazioni barocche, ospita un magnifico altare con una teca centrale nella quale è custodito un Crocifisso ligneo, e due eleganti altari laterali. Nella cantoria un organo recentemente restaurato realizzato dai maestri organari della famiglia Canonici di Montecarotto e installato nel 1707. Nella chiesa vengono oggi venerate le spoglie e le reliquie della Beata Suor Maria Crocifissa Satellico (1706-1745), che fu madre badessa dell’annesso monastero delle clarisse, e che è stata beatificata nel 1993 da Papa Giovanni Paolo II. 2. Palazzo Marulli Monastero della monache clarisse fino alla prima metà del XIX secolo, diventa poi di proprietà della famiglia Marulli, che eleggerà in questo palazzo la sede della propria azienda agricola ed i laboratori per la produzione dell’olio, del vino e per la bachicoltura. Acquistato dal Comune negli anni novanta, è oggi sede del “Museo Civico Parrocchiale Maria Crocifissa Satellico”. La collezione ospita alcuni affreschi di scuola marchigiana del quattrocento staccati dalla Chiesa di San Francesco al Mercatale e un dipinto attribuito al Pomarancio raffigurante “Cristo e San Pietro sul lago di Tiberiade”, oltre a due terracotte policrome d’arte popolare del sec. XV, raffiguranti la “Natività” e la “Deposizione” . Accanto alla pinacoteca, al piano superiore dell’edificio, si conserva la ricca biblioteca francescana di Ostra Vetere, di proprietà comunale sin dalla fine del 1800, costituita da circa 3500 volumi con un importante fondo di incunaboli, cinquecentine e seicentine. L’edificio è sede della biblioteca comunale, dell’archivio storico comunale e dell’Ufficio Informazioni ed Accoglienza turistica. 3. Chiostro di S. Francesco e torre campanaria Nella centrale Piazza della Libertà, ricavata nell’area di insediamento della già citata chiesa di San Francesco al Mercatale, abbattuta nei primi anni del XX secolo, sorge il chiostro di San Francesco. In corpo unico con l’antico complesso monastico, presenta un impianto quattrocentesco, anche se è stato ampliamente rimaneggiato nei secoli XVII e XVIII. All’interno del chiostro, interessanti tracce del ciclo di affreschi di soggetto francescano che lo decorava sui quattro lati. Sulla destra si erge l’antica torre campanaria del convento. 4. Porta IV Agosto - sec. XV Già Porta S. Croce, costituisce uno dei tre accessi al centro medievale: il suo aspetto attuale è frutto di un tardo rimaneggiamento effettuato con intento esornativo. 5. Chiesa di S. Antonio al Borgo e Palazzo Peruzzi - sec. XVII Incorporata in un imponente edificio seicentesco si trova S. Antonio al Borgo, già chiesa madre della confraternita di S. Rocco. All’interno, pregevoli il soffitto a cassettoni e un affresco cinquecentesco raffigurante la “Madonna del Soccorso”. Da questa chiesa provengono alcuni pregevoli dipinti di piccole dimensioni, oggi conservati nel Museo Civico Parrocchiale. 6. Palazzo Cesarei - sec. XVIII 7. Sala San Sebastiano Oggi riadattata a sala-auditorium, la chiesa di San Sebastiano conserva l’impianto della ricostruzione voluta, tra il 1699 e i primi del ‘700, da don Ottavio Monti sul preesistente edificio sacro, all’epoca fatiscente. 8. Palazzo Innocenzi - sec. XVII 9. Palazzi Mauruzi - sec. XVII 10. Palazzo Poccianti - secc. XV-XVI Di forme rinascimentali, con un bel portale in arenaria, è documento del gusto e della raffinatezza della famiglia Poccianti, insediatasi a Montenovo e proveniente da Ragusa (l’odierna Dubrovnik, in Croazia). La costruzione è ingentilita sul lato sinistro da una caratteristica loggia dalla quale si spazia sulla vallata del Nevola fino alle colline che degradano verso il Cesano. Il palazzo, oggi di proprietà comunale, è utilizzato - per la parte restaurata - come sala espositiva ed auditorim. 11. Chiesa di Santa Maria di Piazza - Secoli XIX-XX E’ la chiesa principale del centro storico per dimensioni ed impatto visivo: antica sede di una abbazia benedettina, è stata, dopo la fondazione avvenuta nel 1444, per due volte integralmente ricostruita; l’assetto attuale è quello derivato dall’ultimo rifacimento portato a termine ai primi del ‘900, su progetto del bolognese Giovanni Gualandi. In stile neo-gotico ad eccezione della facciata, che reca influssi prevalentemente romanici e fa mostra di alcune vestigia delle precedenti costruzioni, domina il centro storico con il suo complesso monumentale. Dalla cupola e dal campanile, che costituiscono un insieme di singolare imponenza, si gode vista splendida dall’Adriatico all’Appennino. L’interno della chiesa ospita alcune opere di pregio, fra cui un prezioso paliotto settecentesco in scagliola raffigurante l’annunciazione della Vergine Maria ed una “Madonna con bambino, S.Giovanni Battista e S.Antonio Abate” attribuita a Claudio Ridolfi, ma più probabilmente del suo allievo Cialdieri. Prezioso anche l’organo, che si deve ad uno dei più famosi “organari” del XVIII secolo, Gaetano Callido. 12. Palazzo Brunacci - sec. XVII 13-14 Torre Civica e Palazzo Comunale - secc. XV-XVI Nella residenza municipale fiancheggiata dalla torre civica, si conservano interessanti reperti e opere d’arte; a metà della scala di accesso è visibile una tavola metrica del 1560; elegante la vecchia sala consiliare (oggi sala d’aspetto), con belle decorazioni al soffitto. All’interno del palazzo sono altresì custoditi alcuni cimeli storici, fra i quali un biglietto autografo di Giuseppe Garibaldi indirizzato al fotografo Pavia, dono del concittadino Lino Lauretani. Il complesso ha subito notevoli rimaneggiamenti nei secoli XIX e XX. 15. Palazzo Franceschini – sec. XVII 16. Palazzo Buti – sec. XVII La porzione di fabbricato più degna di nota è oggi quella di proprietà Fornaroli. L’elemento di maggiore interesse, che rende unico il palazzo, è rappresentato dal gruppo scultoreo di straordinaria bellezza che occupa un’intera parete della camera da letto ed è parte integrante di una ex alcova. L’opera (per la quale, peraltro senza alcun riscontro, si fa il nome del palermitano Giacomo Serpotta, 1650 c.a-732) è interamente eseguita in stucco bianco e rappresenta due figure femminili che, a guisa di cariatidi, sorreggono l’arco a sesto ribassato che separa la camera dall’alcova vera e propria, oltre a varie coppie di putti che reggono conchiglie e stemmi (la presenza di quelli dei Buti-Pecci e dei Colocci di Jesi fa ipotizzare che l’opera sia stata commissionata, intorno alla fine del secolo XVII, per un matrimonio tra questi due importanti casati). 17. Porta Nuova - sec. XVII Questo accesso è stato aperto nel secolo XVII su richiesta della famiglia Buti, ed è sottostante alla costruzione gentilizia che sostituì, probabilmente, una antica “pusterla” opposta a Porta Santa Croce. 18. Palazzo Arcangeli 19. Porta Pesa - Sec. XIV E’ il più eminente dei tre accessi al centro murato, a pianta rettangolare, e caratterizzato da un arco a sesto acuto e sovrastanti beccatelli. Oltre la porta si snoda l’agile scalinata che, risalendo il dorso della collina, conduce sino alla Piazza Giovanni Paolo II, su cui si affaccia la chiesa di Santa Maria. 20. Chiesa di S. Severo Situata lungo via Mazzini, conserva due altari barocchi con pale seicentesche e un artistico organo posto in opera nel 1895. Sulla sua nuda facciata esterna è collocato un maestoso portale duecentesco, proveniente dalla Chiesa di San Francesco al Mercatale. 21 Gli Androni Caratteristico camminamento di ronda coperto, lungo un tratto delle mura. 22 Chiesa di S. Croce – sec. XVII La costruzione della chiesa e dell’annesso convento francescano risale ai primi del seicento. L’edificio ha subìto, nel tempo, vari rimaneggiamenti. L’interno, a navata unica con abside rettangolare, è decorato da lesene, stucchi e modanature dorate. Dietro l’altar maggiore una Crocifissione con Santi, opera di Claudio Ridolfi detto “il Veronese” (1570-1644). A sinistra della navata è la cappella dedicata a S. Pasquale Baylon, realizzata nel 1922-23. Il culto per San Pasquale, che richiama ogni anno a Ostra Vetere migliaia di fedeli, è documentato a Montenovo almeno dai primi del settecento, ma potrebbe aver preso forma nel secolo precedente, quando il taumaturgo spagnolo venne prima beatificato, poi (1690) santificato. Anche a Santa Croce è in opera un organo Callido, realizzato dal famoso costruttore veneto nel 1788. 23 Chiesa del SS. Crocifisso - sec. XVI Edificata nel ‘500 inglobando una preesistente edicola sacra, è divisa internamente in due corpi, separati da una cancellata lignea. Dietro l’altare maggiore, una Crocifissione quattrocentesca di scuola marchigiana. Le pareti sono decorate da diversi altri affreschi del XV e XVI secolo, alcuni attribuiti al montenovese Giovanni Battista Lombardelli, pittore attivo nella seconda metà del Cinquecento nelle Marche, in Umbria e a Roma. Provengono da questa chiesa due pregevoli terrecotte policrome d’arte popolare del sec. XV, raffiguranti la “Natività” e la “Deposizione”, che si trovano attualmente al Museo Civico Parrocchiale Maria Crocifissa Satellico. 


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